Immaginiamo, oggi, di poter fare un lungo viaggio nel tempo, che ci porti indietro di circa 1700 anni, all’inizio del quarto secolo dopo Cristo. Immaginiamo anche di scegliere il luogo in cui compiere questo viaggio: l’Asia Minore, più precisamente la Turchia. Ci ritroveremmo completamente catapultati nella realtà dell’Impero Romano, una realtà per molti aspetti simile alla nostra: fatta di invasioni, persecuzioni, egocentrismo, guerre. Ma anche di fede: vera, profonda, tangibile, appagante. Come quella di un gruppo di quaranta soldati, di stanza nell’antico centro di Sebaste (oggi Sivas), che formavano una legione dell’esercito romano il cui nome, FULMINATA, era una condanna per ogni nemico che l’avrebbe affrontata.
Questi quaranta soldati, però, oltre che per le loro imprese militari sono passati alla storia per un’altra impresa, ben più importante di qualsiasi vittoria ottenuta per Roma: testimoniare la propria fede in Cristo con la propria vita. Si, perché questi quaranta legionari, giovani ma esperti guerrieri provenienti da luoghi diversi, dichiaravano senza alcun tipo di timore la loro appartenenza a Dio, rifiutandosi di conseguenza di effettuare sacrifici agli dei pagani. Tutto questo, ovviamente, portò loro problemi sempre più grandi, soprattutto perché dovevano obbedire all’allora imperatore d’Oriente Licinio, il quale cominciò a poco a poco ad avviare una serie di attività persecutorie nei confronti dei cristiani. Persecuzioni che si fecero via via sempre più crudeli e che colpirono i nostri Quaranta. I quali dovettero subire innanzitutto il carcere per una settimana, poi un primo violento supplizio (la rottura dei denti a colpi di pietra) che però non riuscì e infine la sentenza definitiva: la rottura delle gambe e la morte per congelamento, per poi essere bruciati. Chiunque di noi sarebbe almeno morto di paura in una situazione del genere, ma non loro. Che, anzi, affrontarono il destino con gioia, pregando il Signore, uniti nella fede e nella carità, pronti a immolarsi per conquistare il vero Bene, quello eterno.
Furono trucidati proprio il 9 Marzo, ma del 320. La devozione popolare verso questi Quaranta Martiri si diffonderà poi in molti luoghi del mondo, anche nei secoli successivi. Nel 763, infatti, il gastaldo Gualtari, per volere del principe longobardo Arechi II, trasportò qui a Benevento le reliquie di Sant’Eliano, uno dei Quaranta e le fece deporre in una chiesa costruita in suo onore, sopra l’omonimo complesso archeologico, denominata Parrocchia di Sant’Eliano. Così, l’esempio di Eliano e dei suoi 39 compagni, oltre ad essere per sempre incastonato nella storia della nostra città, ci invita ancora oggi a riflettere su quelli che sono i valori portanti della nostra esistenza.
Stefano Forgione