Quante volte ti è capitato di sentire la domanda ch’ ttien’ ‘mman? Tante, forse troppe. Eppure questa domanda nasconde una storia particolare, che si perde nel tempo, e noi vogliamo raccontarla. Entriamo nella macchina del tempo e torniamo all’epoca delle janare…
Le janare sono figure della tradizione popolare, dal carattere ambivalente, tipiche del territorio beneventano: donne dotate di conoscenze magiche, che dominano le forze della natura e conoscono i segreti delle erbe, ma che scatenano anche tempeste per nuocere agli uomini. Fattucchiere in grado di compiere malefici ed incantesimi, di preparare filtri magici e pozioni, le janare erano espressione della civiltà contadina. Non si conosce la loro identità. Di giorno conducevano una tranquilla esistenza; di notte, dopo essersi cosparse di unguento magico, spiccavano il volo lanciandosi nel vuoto a cavallo di una granata, una scopa di saggina. Le janare insidiavano le porte per introdursi nelle case o nelle stalle: prendevano una giumenta per cavalcarla tutta la notte, lasciandole la criniera intrecciata.
Secondo la tradizione, bisognava porre un oggetto magico davanti all’uscio, come la scopa di saggina o un sacchetto con il sale. La janara, costretta a contare i fili della scopa o i granelli di sale fino al sopraggiungere dell’alba, sarebbe scappata via. Se invece la si voleva catturare, bisognava provare ad afferrare il suo punto debole… i capelli! A questo punto, la janara avrebbe posto la fatidica domanda: ch’ ttien’ ‘mman’? Alla risposta fierr’ e acciaij (ferro e acciaio) sarebbe rimasta prigioniera! Se invece si rispondeva capigl’ (capelli), allora la janara si sarebbe liberata, pronunciando la frase: e ij me ne sciulie comm’ a n’anguill’ (io mi libero come un’anguilla).
Se vuoi scoprire qualcosa di più sulla storia delle janare, contattaci e partecipa a Iside e Janara! Scoprirai dove si nascondono ancora oggi le Janare e chissà, magari potrai incontrarne una…